Luca Mori_Ecologie dell’ascolto

Giardino Sonoro
Paris, Nuit Blanche 2006. A sonic garden in Paris, 6 ottobre 2006 designed by Lorenzo Brusci and Stefano Passerotti/Giardino Sonoro produced by Regione Toscana, Comune di Firenze, Comune di Parigi

Nelle note di copertina a “Discreet Music” Brian Eno dice che si tratta di un disco da ascoltare a volume bassissimo, quasi vicino al silenzio. Queste “istruzioni per l’uso” mi hanno da sempre affascinato, così come l’ascolto del disco, ovviamente. Trovo infatti che siano parole veramente rivoluzionarie per un artista che viene dal pop rock. Egli continua dicendo che l’idea è nata ascoltando, in una stanza d’ospedale, un registratore malfunzionante il cui il volume era necessariamente bassissimo; in questa circostanza è stato chiaro che una musica riprodotta poteva essere assimilata all’ambiente come la pioggia che batteva sui vetri. La novità sta nel dare valore ad una musica che è presente nell’intorno ma non necessariamente richiede l’attività cosciente dell’ascoltatore. Si tratta di un attributo dell’ambiente che è in grado di qualificarlo; in questo senso agire sul sound design di un luogo può migliorarne la vivibilità e mantenere un buon livello di equilibrio psico-fisico in chi lo abita. E questo è già un principio di tipo ecologista.
Vi è in ciò anche un’implicazione che riguarda il concetto di autore che in questo caso è passivo, dematerializzato. La composizione di Eno è infatti autogenerativa: un input melodico elementare viene “digerito” e rielaborato all’infinito dal sistema attraverso un algoritmo; l’ascoltatore tramite la tecnologia identifica musicalmente un ambiente.
L’operatività della macchina è concettualmente parte dell’opera.
Così quando sento il mio bimbo che strimpella sul pianetto la stanza si riempe di lui. Me ne accorgo ogni tanto: ricerco forse una melodia? No, non m’importa, quello che percepisco è una casa dove c’è un bambino.

Fasser
Wolfang Fasser

“Domandarsi cosa significhi non fare affatto musica è tipico degli adulti mentre i bambini non se ne preoccupano, per loro la musica e il musicare sono una parte integrativa”.
Wolfgang Fasser (musicoterapeuta) da “Il giocare e il suonare nell’ambiente preparato”.

Il termine “ecologia acustica” è stato coniato negli anni’70 da un musicista canadese che ha delimitato così un territorio di ricerca che lo ha visto sicuramente come fondatore di un particolare approccio multidisciplinare ai problemi del suono, del rumore e dell’ambiente: Murray Shafer.
Il suo lavoro principale é un progetto di ricerca per lo studio comparato dei paesaggi sonori del mondo, denominato “World Soundscape Project”.
E’ interessante osservare come questo studioso si pone nei confronti della tecnologia, un elemento con cui tutti i musicisti di ricerca debbono necessariamente mettersi in relazione: nelle modalità di questo rapporto risiede infatti un’importante differenza di posizione.

Schafer
Murray Schafer

Egli sostanzialmente giudica negativamente gli effetti della rivoluzione industriale, all’origine di una cesura nel modo di percepire i suoni dell’ambiente. La riproduzione elettroacustica determina infatti la “schizofonia”, cioè la frattura appunto tra il suono originale, legato necessariamente ad un luogo, e quello riprodotto che può essere suonato ovunque, al di fuori del contesto. Così il suono rurale ha una riconoscibilità che non ha quello urbano. A questo si può contrappore una pratica interdisciplinare mirata a conservare i soundmarks di un territorio e di una collettività: l’ “acoustic design”. Shafer considera gli oggetti naturali dotati di un valore intrinseco. Nel mondo dei suoni questo significa privilegiare gli ambienti acustici naturali per i loro attributi non solo di carattere ecologico e sociale, ma anche simbolici e metafisici.
Si tratta del cosiddetto “soundscape”, tradotto in italiano con “paesaggio sonoro”, che nella nostra civiltà è “low-fidelity” (a bassa fedeltà), a causa della sovrapposizione dei pattern riconoscibili ed alla conseguente difficoltà di interpretazione.
Suggerisco a questo proposito l’ascolto di “Fascinoma”, un disco di John Hassell, trombettista di avanguardia alla ribalta fin dagli anni ‘80 per le sue performances con Eno e Sylvian. E’ una registrazione in chiave completamente anti-digitale, realizzata esclusivamente con un microfono stereo di alta qualità che registra ogni riverbero dell’ambiente e totalmente priva di filtri ed elaborazione digitale.
Leggiamo nelle sue note di copertina:

“With this recording, I locate myself squarely within that aspect of music which is fundamental and irreducible: the beauty of the sound. This is what Dane Rudhyar calls ‘tone-magic’-a concept derived from ancient practice wherein the quality of the tone itself communicates meaning quite apart from any further arrangement in an ‘artifice’ of music”.

Hassell

Hassell lavora nello spazio tra una nota e l’altra, è una specie di musica interstiziale in cui la musica non è solo intrattenimento ma anche momento di comunicazione con il cosmo; egli parla della sua tromba come di una candela la cui fiamma accesa va sapientemente guidata e protetta. Il suono è quindi depositario di una verità profonda e rientra nella dinamica di un rito.
Secondo questo musicista la visione occidentale della musica taglia fuori tutti quegli aspetti legati agli stati alterati di coscienza e quindi in qualche modo “sciamanici” che caratterizzano invece le etnie del terzo mondo.
Si pensi ai fenomeni di “trance” dei rituali gnawa del Marocco, dei dervisci Mevlevi turchi o al tarantismo pugliese.
A questo proposito Hassell introduce il concetto di “intossicazione” come momento primario dell’esistenza in cui paure ed inibizioni cedono il passo all’elemento della sacralità e dell’inconscio che ci abita. Un aspetto, questo, rilevante ai fini della ricerca musicoterapica.

“”Intoxication” is a word I use to jump over “drugs”. And to say that intoxication is the fourth drive, along with sex, hunger and thirst. Intoxication is essential as any of those. It’s a primal need, which expresses itself in various ways, sanctioned or not”.
(dall’intervista a John Hassell “There was no avantgarde” di Marcus Boon)

Oggi il mainstream musicale tende inevitabilmente all’omologazione culturale e per questo la grande sfida del futuro può essere quella che la tecnologia ci permetta di recuperare una dimensione bio-regionalistica.
E’ quindi evidente l’esistenza di un patrimonio sonoro del pianeta che va salvaguardato nella misura in cui fa parte dell’identità umana.

Un autorevole discepolo di Schafer attivo in Italia è Albert Mayr, che nel 1975 prese parte attiva nel “World Soundscape Project”. In un’interessante intervista rilasciata al blog Soundesign di quegli anni egli ricorda con nostalgia il clima autenticamente sperimentale ed aperto al sociale, in cui si credeva nell’utopia di una riforma del modo di vivere ed abitare il mondo ed in cui lo spazio veniva ad essere uno degli ingredienti del progetto. Negli anni ‘80 pare esserci stata una battuta d’arresto in tutte le attività artistiche e progettuali proprio perchè si è persa questa dimensione di apertura.
Mayr a questo proposito fa notare come l’arte contemporanea oggi sia prevalentemente autoreferenziale e quindi, in qualche misura, “antiecologista”. Attualmente il problema principale è secondo lui un problema di vocabolario: musicologi che parlano di paesaggio acustico con i termini della musicologia e sound designers che utilizzano invece le parole dell’elettroacustica, senza in realtà poter comunicare, poichè uno non sa nulla del mondo dell’altro..
L’aspetto dell’interdisciplinarità è fondamentale nell’affrontare qualsiasi progetto di largo respiro che coinvolge la vita di una comunità ed i suoi spazi relazionali. E’ importante ad esempio capire anche come spazio sonoro ed habitat siano diversi nelle altre culture.
Oggi Mayr si occupa di “Time Design” ovvero progettazione del tempo quotidiano: il tempo, concetto chiave della musica, è secondo lui uno dei fili conduttori che potrebbe seguire una pianificazione urbana attenta al soundscape nel “disegnare” gli spazi di transizione tra un ambiente sonoro ed un altro.
E’ necessario prima di tutto recuperare una consapevolezza del mondo dei suoni, che oltre alla sua accezione strettamente sensoriale e legata al recupero di una struttura della coscienza offre campo aperto all’evocazione e quindi al simbolo, all’archetipo.

Mayr
Albert Mayr

A proposito della simbologia nella musica l’etno-musicologo Antonello Colimberti scrive:

”Dall’Occidente all’Oriente, dal Nord al Sud, buona parte delle culture umane di cui abbiamo conoscenza hanno posto un suono originario (Ursound) all’origine di tutte le cose. Se già il pensiero simbolico costituisce una dimensione più originaria e antropologicamente unificante rispetto al pensiero concettuale, il simbolo sonoro costituisce a sua volta l’elemento più profondo di tale pensiero simbolico. Se questo è vero, il richiamo schaferiano alla matrice simbolica dei suoni, o forse meglio ancora, alla matrice acustica dei simboli può costituire un invito a ripensare ai suoni che ci circondano alternativo tanto al linguaggio delle scienze naturali quanto a quello delle grammatiche musicali. Riscoprire la matrice sonora dei simboli può anche costituire la fonte per una nuova pratica musicale, che ponga il rapporto con l’ambiente al centro del processo creativo”.
(da “Un giardino pieno di suoni. Ritratto di R. Murray Schafer” di Antonello Colimberti)

Ma si può trasferire questa posizione filosofica sul territorio e quindi coinvolgere maggiormente gli aspetti della pianificazione? Sembra che da questo punto di vista l’attenzione vada di più agli aspetti legati alla visione che non all’udito, quasi come se il sonoro non facesse parte del paesaggio. Gli esperimenti fatti finora sono, per quanto interessanti, limitati all’ambito elitario dell’installazione artistica, anche se in verità ci sono realtà che sono più rivolte al sociale, alla musicoterapia ed al recupero di comportamenti disagiati.
Ad esempio Wolfgang Fasser, un noto musicoterapeuta svizzero che opera in Italia, si occupa di “soundwalking”, una pratica che si associa alla musicoterapia come strumento di educazione all’integrazione che “supera una prima forma di diversità, ben più diffusa di quello che pensiamo: l’incapacità ad ascoltare, una menomazione frequente nelle nostre città, nelle nostre società, che se ne porta dietro molte altre…” Il camminatore in ascolto può “sviluppare percezione e consapevolezza del silenzio, disposizione all’ascolto, curiosità nei confronti dello sconosciuto, ed ancora abituarsi alla pazienza, scoprire e sostenere il tempo dilatato, imparare l’attesa, l’abbandono fiducioso al mondo che vive intorno a lui e la condivisione preziosa con gli altri”.
Musica come elemento di integrazione quindi mirata sia al recupero psicoemotivo dei disabili che al training di chi vuole approfondire gli aspetti della percezione acustica del paesaggio.
E’ quindi oggi scientificamente evidente il ruolo e la necessità di un progetto di soundscape che non viene recepito dalle amministrazioni locali.
Esistono in Italia gruppi di lavoro multidisciplinari molto fertili ed attivi che hanno dato origine a veri e propri laboratori di Sound Design quali Timet ad opera di Lorenzo Brusci e Stefano Passerotti (creatori del “Giardino Sonoro Limonaia dell’Imperialino”), Soundesign di Sara Lenzi ed Ilaria Mancino, oppure ancora musicisti indipendenti come Francesco Michi che ha fondato il gruppo FORMAT e Alio Die (alias Stefano Musso) che ha creato la sua etichetta Hic Sunt Leones e collabora con artisti internazionali attivi, sia nel campo della ricerca elettronica che ambientale, occupandosi contemporaneamente di didattica presso i laboratori
realizzati all’Umanitaria di Milano da Antonio Testa con i bambini delle elementari.
Questi afferma, interrogato su una possibile definizione di ecologia musicale:

“L’utilizzo di determinate scale, modulazioni cromatiche, ritmiche, provoca o facilita il conseguimento di particolari stati mentali che contribuiscono a ristabilire la giusta relazione tra corpo, mente e spirito: una sorta di armonia dell’essere, argomento oggi molto in voga e quanto mai astratto e inafferrabile.
Una prima fonte di ispirazione é da sempre rappresentata dai suoni della natura: infatti per l’uomo primitivo l’imitazione dei suoni naturali é stata la prima forma di musica. Si tratta di un’organizzazione non del tutto casuale di rumori che l’ambiente produce attraverso gli esseri che lo abitano, in cui sono determinanti parametri come la conformazione geologica ed i fenomeni atmosferici.. Partendo dal riferimento del paesaggio sonoro la musica ecologica cercherà di riprodurre elementi spaziali di primo piano e di profondità attraverso la loro giusta collocazione nello spazio sonoro; la natura evocativa dei suoni può poi contribuire ad ampliare la profondità percepibile aggiungendo elementi che immancabilmente mutano anche la percezione temporale.
Questa sorta di incanto in qualche modo riavvicina la percezione umana a quella della natura, da sempre fissata nel presente.”

Riguardo alla tecnologia invece afferma:

”Non mi interessa il punto di vista estetico legato alla tecnologia. Faccio uso della tecnologia, che non rifiuto, come mezzo idoneo a realizzare al meglio la creatività. Non ho nessuna aspettativa circa una qualsiasi forma di sostanziale ‘liberazione’ da parte della tecnologia verso l’essere umano”.

A questa posizione più legata all’istintualità fa da controcanto il filosofo-sound designer Francesco Michi:

“L’aspetto che mi ha più profondamente colpito nel pensiero di Schafer è quello della responsabilità: il suono non è un accidente legato agli oggetti della nostra quotidianità, ma è un fattore importante ed interessante della nostra vita. Il ricorso al nostro senso estetico, per quanto riguarda il suono, sembra relegato alla fruizione della musica, e questo è culturalmente riduttivo. Inoltre, la musica diventa la colonna sonora della nostra vita, soffocando il suono della realtà. L’unica attenzione concessa ai suoni del mondo è quello di trovare il modo di isolarsene, vuoi attraverso strati di materiali isolanti, vuoi attraverso barriere di suono. La produzione della musica è considerata una sorta di inquinamento acustico, è difficile specificare come, ma c’è spreco. I prodotti musicali realizzati per la vita di tutti i giorni vengono usati e poi gettati via, proprio come si fa con le bottiglie di plastica o gli accendini.
Per me, dunque, è stato necessario smettere di comporre nel senso classico (quindi di alimentare una sorta di inquinamento musicale), per dedicarmi alla progettazione di lavori artistici che diano strumenti cognitivi che permettano di applicare il nostro senso estetico alla fruizione del suono che ci circonda, affinare la nostra percezione e ad imparare a scegliere. Questo comporta, da parte del compositore, un’ attenta coscienza della situazione acustica nella quale il suo lavoro verrà poi presentato e fruito.”

Lorenzo Brusci da parte sua dà una definizione di ecologia della musica molto vicina alla biologia e quindi “positivista” nei confronti della possibilità di un’architettura digitale ecologista:

“Un’architettura digitale della coesistenza e dell’ibridazione radicale è un significativo banco di ecologia sperimentale e di progettualità ecologica.
Una definzione di ecologia come sentimento e analisi della vitalità rappresentativa e generativa dei linguaggi simbolici. Ecologia linguistica come studio sistematico della disponibilità di spazio identitario, rappresentativo e confermativo, all’interno della sfera autodescrittiva ed autorappresentativa degli individui del più ampio sistema vivente. Una tale definizione assume la forza generativa dei linguaggi simbolici, generativa di rappresentazione, espressione, quindi di esperienza, memoria individuale e sociale, e di tutta la realtà che i sistemi narrativi sociali riescono continuamente a produrre”.

In conclusione oggi in Italia vi è una crescente sensibilità verso il “soundscape” che non trova sufficiente riscontro a livello istituzionale. Molta infatti appare la strada da percorrere per insegnare alle masse a muoversi al di fuori degli schemi del mercato ed a sviluppare quell’attenzione alla percezione ed al significato dei suoni che è condizione primaria per creare una domanda di qualificazione e tutela del paesaggio sonoro.
Pare urgente la necessità di far confluire questa molteplicità di energie creative in un movimento culturale realmente interdisciplinare ed aperto.
Anche in questo caso si auspica che le comunità virtuali possano giocare un ruolo determinante nel portare alla superficie le esigenze dei molti microcosmi musicali del pianeta.

[Luca Mori]

Links

[Murray Schafer]

[Paesaggio sonoro]

[World Soundscape Project]

[John Hassell]

Timet [Lorenzo Brusci e Stefano Passerotti]

[Giardino sonoro Limonaia dell’Imperialino]

[Francesco Michi]

Alio Die [Stefano Musso]

[Soundesign blog]

[Albert Mayr]

[intervista per Soundesign in streaming]

[Wolfgang Fasser]

[presentazione in streaming di un evento di “soundwalking”]